Sì. Il messaggio dice che “Quando il personale di Mc Donald’s deve mangiare davvero, va da Burger King”, ma c’è un ma.
È chiaro, no, che quel signore girato di spalle è un dipendente di Mc Donald’s?
Ed è chiaro, no, che l’unico marchio esplicitato è quello di Burger King? Potremmo addirittura azzardarci a dire che è ovvio, considerato il fatto che la campagna la paga Burger King.
Sarebbero bastati tre colori accoppiati per farci pensare a Burger King in modo così automatico come invece ci succede con Mc Donald’s?
Probabilmente no.
E quanto è costata a Mc Donald’s, questa pubblicità “negativa”?
Verrebbe da dire niente, e niente è la risposta giusta se ci si limita a valutare la campagna Burger King: ma se si alza un pochino lo sguardo, e ci si concentra sulle ragioni che hanno permesso a Mc Donald’s di godere di pubblicità gratuita (a opera di un suo concorrente) si realizza che la ragione vera risiede l’autorevolezza del suo marchio.
Che è fatta senz’altro di grandi investimenti pubblicitari, non c’è dubbio. Ma non c’è investimento pubblicitario capace di di trasformare due colori in un asset se quei due colori non vengono prima trattati come una scelta identitaria. Granitica al punto da diventare (quasi) immodificabile: quasi perchè qualsiasi modifica è possibile, se introdotta con la giusta strategia.
Immodificabile perchè il pubblico vuole andare sul sicuro, quando compra. E non c’è marchio più rassicurante di un marchio che si rinnova ma s tiene stretta la propria identità.